L’allarme corruzione viene
dall’Europa: il commento del
Prof. Alberto Vannucci
Una volta tanto a suscitare
preoccupazioni sulla perdurante emergenza corruzione in Italia non è l’ennesimo
scandalo made in Italy. Stavolta a suonare forte e chiaro il campanello
d’allarme è la Commissione Europea, che ieri ha presentato il suo primo rapporto sulla corruzione in Europa. L’immagine dell’Italia, e non è certo una
sorpresa, risulta piuttosto appannata. Poca trasparenza, troppe resistenze e
ambiguità nella necessaria azione di contrasto all’illegalità politica.
A giudizio dell’Europa, negli
ultimi anni i principali passi in avanti sono stati fatti sul versante della
prevenzione, grazie alle disposizioni dalla legge 190 del 2012. Che
coincidenza: proprio pochi giorni fa, alla fine di gennaio, è scaduto il termine
per la presentazione dei piani anticorruzione in tutti gli enti pubblici. Un
adempimento assolto da molte amministrazioni con fatica, e che rischia per
giunta di tradursi nell’ennesima inondazione cartacea di buone intenzioni
tradotte nero su bianco. A norma di legge, infatti, nella lotta alla corruzione
non vale comunque la pena di investire: tutta l’attività di prevenzione
dovrebbe essere realizzata “a costo zero”, affidata al controllo ultimo di
un’Autorità nazionale (l’Anac) a corto di mezzi e strumenti – una specie di
Alto burocrate dell’anticorruzione. Del resto l’impegno in questo campo non
paga, né per i funzionari che rischiano in prima persona – si pensi ai
responsabili anticorruzione, che scontano la debolezza degli strumenti a loro
disposizione – né i politici, per i quali l’impegno etico raramente produce
consenso o voti.
L’altro progresso che l’Europa ci
riconosce è infatti, a ben guardare, un drammatico segnale di debolezza.
L’introduzione per legge di criteri di ineleggibilità a incarichi pubblici in
caso di condanne per gravi reati riflette il fallimento di tutti quei
meccanismi di controllo politico e sociale che in altri paesi d’Europa rendono
semplicemente inconcepibile che pregiudicati per frode fiscale o corruzione
possano venire candidati dai loro partiti (tanto meno guidarli), od ottenere il
sostegno degli elettori.
In effetti nell’opinione pubblica
italiana sembra regnare una sorta di schizofrenia su questi temi. Nel sondaggio
europeo che accompagna il rapporto, infatti, i livelli di preoccupazione
risultano altissimi: il 97% degli italiani ritiene che la corruzione sia un
fenomeno dilagante – quasi il 20% in più della media europea. Per l’88 per
cento degli italiani tangenti e raccomandazioni sono spesso il modo più facile
per accedere ai servizi pubblici – oltre il 15% in più degli altri paesi
europei. Eppure le rilevazioni sulle esperienze personali nel 2013 sono in
linea con quelle dei partner europei: solo il 2% dei cittadini e il 4% delle
imprese si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti.
Forse questa sensibilità nasce
dalla percezione diffusa che il fenomeno si è “stratificato”, arroccandosi nei
principali centri di spesa pubblica, dove finisce per degradare in modo
intollerabile la qualità dei servizi erogati ai cittadini: vale nel settore
sanitario e assistenziale, e se ne osservano i sintomi nella catastrofica
ricostruzione post-terremoto, nello scempio urbanistico e ambientale di molti
territori, nell’emergenza permanente della gestione rifiuti – solo per citare casi
saliti di recente agli onori della cronaca.
E qui arrivano le colpe della
classe politica italiana, su cui il rapporto della Commissione europea non
risparmia gli affondi. La classe politica si è di fatto auto-assolta, visto che
non ha previsto per sé l’adozione di codici etici, né di strumenti per
rendicontare il proprio operato. E’ latitante da due decenni per quanto
concerne tutte le misure più necessarie e urgenti: la riforma dei tempi di
prescrizione dei processi – attualmente garanzia di impunità per gli imputati –
la trasparenza degli appalti pubblici, il rafforzamento del reato di falso in
bilancio, l’autoriciclaggio, il voto di scambio politico-mafioso, la
trasparenza delle situazioni patrimoniali, la corruzione nel settore privato. E
poi un’ultima frecciata: l’assenza di una seria regolazione di quel groviglio
inestricabile di conflitti di interessi che – come dimostra la recente vicenda
del dimissionario presidente Inps Mastropasqua – avvelenano la vita pubblica ad
ogni livello.
Alberto Vannucci
Firma contro la corruzione: